Papi: "Madonna con Bambino, uno dei dipinti più rilevanti di Baccio Ciarpi"

Lunedì, 22 Agosto 2022 15:43 | Letto 453 volte   Clicca per ascolare il testo Papi: "Madonna con Bambino, uno dei dipinti più rilevanti di Baccio Ciarpi" Dopo la rivelazione, nel giorno del suo rientro nella chiesa di San Rocco da quella di Osnago, in provincia di Como, dove nel 1815 era finita a seguito delle requisizioni napoleoniche che la portarono a Brera nel 1811, la tela raffigurante la Madonna con il Bambino e i santi Rocco e Severino, attribuita per tantissimo tempo a Cristoforo Roncalli, detto il Pomarancio, trova definitivamente la sua giusta collocazione con la pubblicazione, sul Bollettino dell’Arte del Ministero della Cultura, di un ricco studio a cura di Gianni Papi, grande conoscitore ed esperto della pittura del Seicento, dal titolo: “La vera paternità della pala ritornata a San Severino dalla pinacoteca di Brera: nuove riflessioni su Baccio Ciarpi”. E’ proprio a quest’ultimo pittore che lo studio di Papi aveva già condotto per spiegare che: “La pala della chiesa di San Rocco a Sanseverino costituisce una scoperta molto importante. Si tratta, infatti, di uno dei dipinti più rilevanti di Baccio Ciarpi collocabile, anche per le evidenze documentarie, intorno al 1618, cioè durante gli anni che sono decisivi dell’attività del pittore. Il periodo in cui Ciarpi ha come giovane allievo Pietro da Cortona che, come dimostra anche questo notevole dipinto, dovette risentire molto degli insegnamenti del maestro nella sua fase giovanile, almeno fino ai primi anni del decennio successivo”. Quanto annunciato in un breve saggio, che era già stato reso noto al mondo all’indomani del trasferimento della tela in città, viene dunque confermato appieno. L’opera apparterrebbe in maniera incontrovertibile a Baccio Ciarpi, ovvero Lorenzo Bartolomeo Ciarpi, nato a Barga nel 1574 e morto a Roma nel 1654. “La pala era giunta a Brera il 3 ottobre 1811 e poco tempo dopo, a seguito di una lettera di richiesta datata al 29 maggio 1815, venne inviata in deposito nella chiesa di Santo Stefano a Osnago. E nel paese comasco ancora si trovava quando, alla fine del 2020, la Pinacoteca di Brera ha deciso di rimandarla, sempre a titolo di deposito, a San Severino Marche, per farla così tornare nella chiesa da dove fu prelevata dai funzionari napoleonici – spiega Papi, che argomenta - La tradizionale attribuzione a Roncalli ha avuto fortuna per secoli, ma già Ileana Chiappini di Sorio, nella sua monografia dedicata al Pomarancio, escludeva la possibilità di una paternità del pittore”. Ma lo studioso, che cita anche le scoperte dello storico settempedano Raoul Paciaroni, restituisce ora la pala al suo legittimo proprietario, parlando di “chiari elementi stilistici del linguaggio di Ciarpi” in questo dipinto. “La pala di Sanseverino si inserisce bene, con la data 1617–1618, dopo il ciclo di tele per Santa Lucia in Selci, del 1614, e più o meno contemporaneamente alla grande pala d’altare di San Silvestro all’Aquila, col Battesimo di Costantino, datata 1617”. Infine, tra le argomentazioni che sostengono la tesi, si legge anche: “Il dipinto si pone fra gli esiti più riusciti della produzione di Ciarpi e va a infoltire l’attività dei suoi anni migliori e più fertili, cioè quelli del secondo decennio del Seicento”.
Dopo la rivelazione, nel giorno del suo rientro nella chiesa di San Rocco da quella di Osnago, in provincia di Como, dove nel 1815 era finita a seguito delle requisizioni napoleoniche che la portarono a Brera nel 1811, la tela raffigurante la Madonna con il Bambino e i santi Rocco e Severino, attribuita per tantissimo tempo a Cristoforo Roncalli, detto il Pomarancio, trova definitivamente la sua giusta collocazione con la pubblicazione, sul Bollettino dell’Arte del Ministero della Cultura, di un ricco studio a cura di Gianni Papi, grande conoscitore ed esperto della pittura del Seicento, dal titolo: “La vera paternità della pala ritornata a San Severino dalla pinacoteca di Brera: nuove riflessioni su Baccio Ciarpi”.

E’ proprio a quest’ultimo pittore che lo studio di Papi aveva già condotto per spiegare che: “La pala della chiesa di San Rocco a Sanseverino costituisce una scoperta molto importante. Si tratta, infatti, di uno dei dipinti più rilevanti di Baccio Ciarpi collocabile, anche per le evidenze documentarie, intorno al 1618, cioè durante gli anni che sono decisivi dell’attività del pittore. Il periodo in cui Ciarpi ha come giovane allievo Pietro da Cortona che, come dimostra anche questo notevole dipinto, dovette risentire molto degli insegnamenti del maestro nella sua fase giovanile, almeno fino ai primi anni del decennio successivo”.

Quanto annunciato in un breve saggio, che era già stato reso noto al mondo all’indomani del trasferimento della tela in città, viene dunque confermato appieno. L’opera apparterrebbe in maniera incontrovertibile a Baccio Ciarpi, ovvero Lorenzo Bartolomeo Ciarpi, nato a Barga nel 1574 e morto a Roma nel 1654.

“La pala era giunta a Brera il 3 ottobre 1811 e poco tempo dopo, a seguito di una lettera di richiesta datata al 29 maggio 1815, venne inviata in deposito nella chiesa di Santo Stefano a Osnago. E nel paese comasco ancora si trovava quando, alla fine del 2020, la Pinacoteca di Brera ha deciso di rimandarla, sempre a titolo di deposito, a San Severino Marche, per farla così tornare nella chiesa da dove fu prelevata dai funzionari napoleonici – spiega Papi, che argomenta - La tradizionale attribuzione a Roncalli ha avuto fortuna per secoli, ma già Ileana Chiappini di Sorio, nella sua monografia dedicata al Pomarancio, escludeva la possibilità di una paternità del pittore”.

Ma lo studioso, che cita anche le scoperte dello storico settempedano Raoul Paciaroni, restituisce ora la pala al suo legittimo proprietario, parlando di “chiari elementi stilistici del linguaggio di Ciarpi” in questo dipinto. “La pala di Sanseverino si inserisce bene, con la data 1617–1618, dopo il ciclo di tele per Santa Lucia in Selci, del 1614, e più o meno contemporaneamente alla grande pala d’altare di San Silvestro all’Aquila, col Battesimo di Costantino, datata 1617”.

Infine, tra le argomentazioni che sostengono la tesi, si legge anche: “Il dipinto si pone fra gli esiti più riusciti della produzione di Ciarpi e va a infoltire l’attività dei suoi anni migliori e più fertili, cioè quelli del secondo decennio del Seicento”.

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