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Vita dura per gli agricoltori del Parco dei Sibillini

Lunedì, 23 Maggio 2016 15:19 | Letto 2352 volte   Clicca per ascolare il testo Vita dura per gli agricoltori del Parco dei Sibillini I numerosi messaggi e direttive, peraltro strutturalmente articolati dall’Ente Parco, gestore dell’area protetta, pongono la maggior parte degli abitanti, soprattutto coloro che veramente vivono nell’ambiente e dell’ambiente non urbano, in una situazione di ricadente malessere provocando intralcio allo svolgimento delle loro attività produttive. L’Ente, nonostante i richiami giunti da più parti, appare sordo a qualsiasi istanza ed incurante delle insofferenze, spesso molto mirate ed esternate in modo più che civile. Comunque dobbiamo, in verità, osservare che esistono amministratori coraggiosi, non molti, che si fanno carico delle istanza degli abitanti, non preoccupati delle dichiarazioni dei potenti conduttori delle vicende del parco, sperando che non sia l’obbedienza a chi governa la ragione dell’agire politico, ma il venir incontro con autonomia alle istanze di chi vive e lavora nei comparti. Sono amministratori che non si accontentano di dichiarazioni, ma desiderano entrare in profondità nei meriti di ogni specie ivi residente, uomini compresi. Intanto abbiamo il dovere di porre l’accento su alcune categorie che maggiormente risentono di queste situazioni, che appaiono normativamente ammissibili, ma sostanzialmente penalizzanti: si tratta degli agricoltori e delle forme di zootecnia complementare annessa. Recentemente una rappresentanza sindacale agricola ha fatto osservare che tutt’ora il parco è, di fatto, orfano del Piano del Parco e delle conseguenti necessarie regole coerenti di gestione, che devono costituire documento essenziale per una conduzione legittima, legalmente giustificata e coerente, e non come spesso avviene capace soltanto di emanare norme e direttive che si risolvono esclusivamente nelle formalità di tutela di alcune specie selvatiche. Verrebbe da osservare che siamo alle solite, formalità falsamente naturalistiche finiscono per condurre linee d’azione che inculcano i diritti stanziali e non riformano un quadro ecologico storicamente coerente, presi da velleità pseudo ambientaliste. Si è fatto rilevare, anche in ambienti scientifici innovativi, vedi l’Irlanda occidentale, che i pascoli possono anche essere utilizzati dagli ungulati selvatici, senza tuttavia esclusione delle mandrie ovine, bovine ed equine, con funzione anche di mantenere le specie arboree autoctone diverse, a cui provvedono proprio fecondandole con gli effetti degli allevamenti mantenuti. Le richieste di normare meglio le aree protette appare essenziale nell’interesse stesso dell’intero ecosistema, come reclamano le realtà stanziali.   Il tema, quindi, è a monte, per questo specifico piano, come per i tanti in vigore in Italia: forse redatti con buone intenzioni (mah...), ma senza dubbio con una errata interpretazione della salvaguardia. Lazione delluomo, per quanto trasformatrice, resta in fondo la sola utile, unendo azioni, governo e programmazioni pesate e dedicate, tant’è che, e può apparire incredibile, è la sola in grado di conservare lhabitat, la sua natura, la sua biodiversità. Diversamente volendo correttamente fare il bene dell’habitat complessivo, finiamo per imporci battaglie eroiche da don Chisciotte, scambiando per mulini a vento persino ectoplasmi di una realtà assolutamente virtuale, non classificabile. Rosario Giuffrè

I numerosi messaggi e direttive, peraltro strutturalmente articolati dall’Ente Parco, gestore dell’area protetta, pongono la maggior parte degli abitanti, soprattutto coloro che veramente vivono nell’ambiente e dell’ambiente non urbano, in una situazione di ricadente malessere provocando intralcio allo svolgimento delle loro attività produttive.

L’Ente, nonostante i richiami giunti da più parti, appare sordo a qualsiasi istanza ed incurante delle insofferenze, spesso molto mirate ed esternate in modo più che civile.

Comunque dobbiamo, in verità, osservare che esistono amministratori coraggiosi, non molti, che si fanno carico delle istanza degli abitanti, non preoccupati delle dichiarazioni dei potenti conduttori delle vicende del parco, sperando che non sia l’obbedienza a chi governa la ragione dell’agire politico, ma il venir incontro con autonomia alle istanze di chi vive e lavora nei comparti. Sono amministratori che non si accontentano di dichiarazioni, ma desiderano entrare in profondità nei meriti di ogni specie ivi residente, uomini compresi.

Intanto abbiamo il dovere di porre l’accento su alcune categorie che maggiormente risentono di queste situazioni, che appaiono normativamente ammissibili, ma sostanzialmente penalizzanti: si tratta degli agricoltori e delle forme di zootecnia complementare annessa.

bovini al pascolo1

Recentemente una rappresentanza sindacale agricola ha fatto osservare che tutt’ora il parco è, di fatto, orfano del Piano del Parco e delle conseguenti necessarie regole coerenti di gestione, che devono costituire documento essenziale per una conduzione legittima, legalmente giustificata e coerente, e non come spesso avviene capace soltanto di emanare norme e direttive che si risolvono esclusivamente nelle formalità di tutela di alcune specie selvatiche.

Verrebbe da osservare che siamo alle solite, formalità falsamente naturalistiche finiscono per condurre linee d’azione che inculcano i diritti stanziali e non riformano un quadro ecologico storicamente coerente, presi da velleità pseudo ambientaliste.

Si è fatto rilevare, anche in ambienti scientifici innovativi, vedi l’Irlanda occidentale, che i pascoli possono anche essere utilizzati dagli ungulati selvatici, senza tuttavia esclusione delle mandrie ovine, bovine ed equine, con funzione anche di mantenere le specie arboree autoctone diverse, a cui provvedono proprio fecondandole con gli effetti degli allevamenti mantenuti.

Le richieste di normare meglio le aree protette appare essenziale nell’interesse stesso dell’intero ecosistema, come reclamano le realtà stanziali.

 

equini in alta montagna

Il tema, quindi, è a monte, per questo specifico piano, come per i tanti in vigore in Italia: forse redatti con buone intenzioni (mah...), ma senza dubbio con una errata interpretazione della salvaguardia. L'azione dell'uomo, per quanto trasformatrice, resta in fondo la sola utile, unendo azioni, governo e programmazioni pesate e dedicate, tant’è che, e può apparire incredibile, è la sola in grado di conservare l'habitat, la sua natura, la sua biodiversità.

Diversamente volendo correttamente fare il bene dell’habitat complessivo, finiamo per imporci battaglie eroiche da don Chisciotte, scambiando per mulini a vento persino ectoplasmi di una realtà assolutamente virtuale, non classificabile.

Rosario Giuffrè

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