Elio Sgreccia, il cardinale professore

Mercoledì, 24 Novembre 2010 01:00 | Letto 1423 volte   Clicca per ascolare il testo Elio Sgreccia, il cardinale professore   Monsignor Elio Sgreccia, nato ad Arcevia il 6 giugno 1928, presidente emerito della pontificia accademia per la vita, uno dei maggiori esperti di bioetica a livello internazionale, è tra i 24 nuovi cardinali creati da papa Benedetto XVI nel concistoro dello scorso 20 novembre. Eminenza, come ha accolto la notizia della sua nomina? Allinizio sicuramente con stupore. Premetto che in quei giorni stavo uscendo da un periodo di convalescenza dopo un infarto; quindi sono rimasto anche un po frastornato. Certamente non me lo aspettavo perché non vengo da quei ruoli ecclesiali da cui solitamente vengono scelti i cardinali. E stata una grande sorpresa e, ovviamente, ciò suscita maggior titolo di riconoscenza verso il santo padre che ha voluto guardare fuori del campo ordinario dei suoi maggiori punti di riferimento istituzionali. Ora che, meditando in questi giorni, ho acquisito consapevolezza del ruolo di più stretta collaborazione con lapostolato del successore di Pietro sto pensando a quale può essere il mio modo di collaborare più da vicino. Vuol parlarci della sua terra dorigine e del suo rapporto con le Marche? Sono nato a Nidastore, lultima frazione del comune di Arcevia che confina con la provincia di Pesaro e che prende il nome dal nido di astore, un uccello con il quale nel medioevo si andava a caccia. Un piccolo paesino, ora di un centinaio di abitanti, che quando ero ragazzo era maggiormente popolato in quanto lì vicino si trovava una miniera. Ricordo che per andare a scuola, nel comune di San Lorenzo in Campo, dovevo percorrere a piedi anche dieci chilometri al giorno. Entrai nel seminario diocesano di Fossombrone e, quando questo fu distrutto dai bombardamenti, fui trasferito al seminario regionale di Fano per completare gli studi di filosofia; venni ordinato sacerdote nel 1952. Nei primi due anni del ministero sono stato assistente dellAzione cattolica per poi divenire vice rettore del seminario regionale e successivamente rettore fino al 1972 quando la sede divenne quella di Ancona. Rientrato in diocesi ho ricoperto lincarico di vicario generale fino a che il mio nome fu indicato per assumere, a Roma, lufficio di assistente spirituale della facoltà di medicina e chirurgia delluniversità cattolica negli anni della contestazione post 68. Proprio in quel periodo lei iniziò ad occuparsi di bioetica… Sì, perché fui inviato dalla Santa Sede come osservatore al Consiglio dEuropa Strasburgo per collaborare, quale rappresentante della chiesa cattolica, alla stesura di un volume dal titolo “Il medico e i diritti delluomo”, una sorta di deontologia medica vista alla luce dei diritti delluomo che allora si andavano affermando. Dopo la prima fecondazione in vitro (1978) mi chiesero, sempre al Consiglio dEuropa, di collaborare in un comitato ad hoc, composto da scienziati, giuristi e filosofi, sulle questioni bioetiche. E stato una sorta di pioniere nel campo della bioetica. Così si può dire. Nel comitato si discuteva di diagnosi prenatale, di fecondazione in vitro, di genetica, argomenti che dovevo poi studiare e approfondire su testi di medicina per poter riferire sulla materia alla Santa Sede. Quando, scaduti gli anni previsti per il servizio a Roma, il vescovo mi richiamò in diocesi, alla segreteria di stato, considerata limportanza sempre maggiore che la bioetica andava assumendo, decisero che io dovessi dedicarmi stabilmente ed esclusivamente degli studi su questa nuova disciplina allinterno delluniversità cattolica, dove fu creata una cattedra di insegnamento. Creammo una scuola di bioetica, cercando di dare sistemazione organica ad una materia su cui studenti e professori potessero confrontarsi. Questo comportò la necessità di elaborare un sistema di pensiero sul piano fondativo e metodologico. Sul piano fondativo, vale a dire del criterio per stabilire ciò che è lecito e ciò che non è lecito, secondo criteri scientifici cercai di elaborare un modello basato sulla dignità e sul rispetto della persona umana, il cosiddetto “personalismo ontologico”. Su questa base cercai di imbastire una metodologia che partendo dal dato scientifico si connettesse col discorso filosofico-antropologico sulla persona e producesse conseguenze sul piano etico. Anche se ciò venne sentito da molti come una sorta di bioetica cattolica severa e rigorosa, tuttavia ho sempre cercato di seguire la coscienza e la verità oggettiva sulluomo. Secondo lei questa scienza come si sta sviluppando? Si sa che le scienze sperimentali hanno un andamento lineare, da una scoperta si passa a quella successiva avvalorando lidea di frontiere sempre più avanzate. Le applicazioni di questa scienza, tuttavia, suscitano problemi sempre più grandi. Quando si arriva, come ha fatto la fisica, ad imprigionare lenergia dellatomo ecco che una delle applicazioni è stata la bomba atomica. Così quando si arriva a scoprire i geni, i meccanismi per trasferire il gene da un essere vivente ad un altro, anche di specie diversa, il rischio è quello di creare una sorta di “bomba biologica” che, tra laltro, costa anche molto meno rispetto allatomica. Cè quindi una possibilità di deteriorare le forme di vita attraverso la cosiddetta ingegneria genetica e si pone il problema fondamentale: è la scienza che deve travolgere letica, la vita, lumanità oppure luomo deve rimanere coerente a se stesso, creando gli spartiacque tra il lecito e il non lecito? Riprendendo il pensiero della scuola americana posso affermare che non tutto ciò che è possibile tecnicamente è anche lecito moralmente e, soprattutto, occorre porre alla base lassoluto rispetto per luomo.

 

Monsignor Elio Sgreccia, nato ad Arcevia il 6 giugno 1928, presidente emerito della pontificia accademia per la vita, uno dei maggiori esperti di bioetica a livello internazionale, è tra i 24 nuovi cardinali creati da papa Benedetto XVI nel concistoro dello scorso 20 novembre.
Eminenza, come ha accolto la notizia della sua nomina?
All'inizio sicuramente con stupore. Premetto che in quei giorni stavo uscendo da un periodo di convalescenza dopo un infarto; quindi sono rimasto anche un po' frastornato. Certamente non me lo aspettavo perché non vengo da quei ruoli ecclesiali da cui solitamente vengono scelti i cardinali. E' stata una grande sorpresa e, ovviamente, ciò suscita maggior titolo di riconoscenza verso il santo padre che ha voluto guardare fuori del campo ordinario dei suoi maggiori punti di riferimento istituzionali. Ora che, meditando in questi giorni, ho acquisito consapevolezza del ruolo di più stretta collaborazione con l'apostolato del successore di Pietro sto pensando a quale può essere il mio modo di collaborare più da vicino.
Vuol parlarci della sua terra d'origine e del suo rapporto con le Marche?
Sono nato a Nidastore, l'ultima frazione del comune di Arcevia che confina con la provincia di Pesaro e che prende il nome dal nido di astore, un uccello con il quale nel medioevo si andava a caccia. Un piccolo paesino, ora di un centinaio di abitanti, che quando ero ragazzo era maggiormente popolato in quanto lì vicino si trovava una miniera. Ricordo che per andare a scuola, nel comune di San Lorenzo in Campo, dovevo percorrere a piedi anche dieci chilometri al giorno. Entrai nel seminario diocesano di Fossombrone e, quando questo fu distrutto dai bombardamenti, fui trasferito al seminario regionale di Fano per completare gli studi di filosofia; venni ordinato sacerdote nel 1952. Nei primi due anni del ministero sono stato assistente dell'Azione cattolica per poi divenire vice rettore del seminario regionale e successivamente rettore fino al 1972 quando la sede divenne quella di Ancona. Rientrato in diocesi ho ricoperto l'incarico di vicario generale fino a che il mio nome fu indicato per assumere, a Roma, l'ufficio di assistente spirituale della facoltà di medicina e chirurgia dell'università cattolica negli anni della contestazione post '68.
Proprio in quel periodo lei iniziò ad occuparsi di bioetica…
Sì, perché fui inviato dalla Santa Sede come osservatore al Consiglio d'Europa Strasburgo per collaborare, quale rappresentante della chiesa cattolica, alla stesura di un volume dal titolo “Il medico e i diritti dell'uomo”, una sorta di deontologia medica vista alla luce dei diritti dell'uomo che allora si andavano affermando. Dopo la prima fecondazione in vitro (1978) mi chiesero, sempre al Consiglio d'Europa, di collaborare in un comitato ad hoc, composto da scienziati, giuristi e filosofi, sulle questioni bioetiche.
E' stato una sorta di pioniere nel campo della bioetica.
Così si può dire. Nel comitato si discuteva di diagnosi prenatale, di fecondazione in vitro, di genetica, argomenti che dovevo poi studiare e approfondire su testi di medicina per poter riferire sulla materia alla Santa Sede. Quando, scaduti gli anni previsti per il servizio a Roma, il vescovo mi richiamò in diocesi, alla segreteria di stato, considerata l'importanza sempre maggiore che la bioetica andava assumendo, decisero che io dovessi dedicarmi stabilmente ed esclusivamente degli studi su questa nuova disciplina all'interno dell'università cattolica, dove fu creata una cattedra di insegnamento. Creammo una scuola di bioetica, cercando di dare sistemazione organica ad una materia su cui studenti e professori potessero confrontarsi. Questo comportò la necessità di elaborare un sistema di pensiero sul piano fondativo e metodologico. Sul piano fondativo, vale a dire del criterio per stabilire ciò che è lecito e ciò che non è lecito, secondo criteri scientifici cercai di elaborare un modello basato sulla dignità e sul rispetto della persona umana, il cosiddetto “personalismo ontologico”. Su questa base cercai di imbastire una metodologia che partendo dal dato scientifico si connettesse col discorso filosofico-antropologico sulla persona e producesse conseguenze sul piano etico. Anche se ciò venne sentito da molti come una sorta di bioetica cattolica severa e rigorosa, tuttavia ho sempre cercato di seguire la coscienza e la verità oggettiva sull'uomo.
Secondo lei questa scienza come si sta sviluppando?
Si sa che le scienze sperimentali hanno un andamento lineare, da una scoperta si passa a quella successiva avvalorando l'idea di frontiere sempre più avanzate. Le applicazioni di questa scienza, tuttavia, suscitano problemi sempre più grandi. Quando si arriva, come ha fatto la fisica, ad imprigionare l'energia dell'atomo ecco che una delle applicazioni è stata la bomba atomica. Così quando si arriva a scoprire i geni, i meccanismi per trasferire il gene da un essere vivente ad un altro, anche di specie diversa, il rischio è quello di creare una sorta di “bomba biologica” che, tra l'altro, costa anche molto meno rispetto all'atomica. C'è quindi una possibilità di deteriorare le forme di vita attraverso la cosiddetta ingegneria genetica e si pone il problema fondamentale: è la scienza che deve travolgere l'etica, la vita, l'umanità oppure l'uomo deve rimanere coerente a se stesso, creando gli spartiacque tra il lecito e il non lecito? Riprendendo il pensiero della scuola americana posso affermare che non tutto ciò che è possibile tecnicamente è anche lecito moralmente e, soprattutto, occorre porre alla base l'assoluto rispetto per l'uomo.

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