Carlo Maria Martini, profeta del novecento

Mercoledì, 31 Agosto 2016 17:25 | Letto 5238 volte   Clicca per ascolare il testo Carlo Maria Martini, profeta del novecento Quattro anni fa non solo la Chiesa, ma lItalia intera ha perso un grande uomo: Carlo Maria Martini, cardinale arcivescovo di Milano da molti definito il profeta del ’900. Arcivescovo Francesco Giovanni Brugnaro chi ha conosciuto meglio di lei questo grande uomo del ’900? Sì, è una conoscenza molto antica, dal 1972 fino alla sua morte. Ricordo con grande commozione il giorno prima e il giorno del suo passaggio quando ci aveva detto; “nel momento in cui la mia percezione del mondo esterno e di voi si perderà, accanto a me leggete la parola di Dio, pregate l’Ave Maria, soccorretemi”. Gli abbiamo tenuto la mano fino all’ultimo istante. In quel momento mi sono venuti in mente tantissimi momenti importanti. Per me il mio discernimento vocazionale per il sacerdozio. Nei riguardi di lui la discrezione con cui ha saputo introdurmi nel mondo clericale e nel mondo della Chiesa, le opportunità che mi ha offerto di conoscere tantissime persone e soprattutto la comunione che ho potuto vivere in Milano dopo l’ordinazione sacerdotale, quando sono tornato da Roma dopo aver studiato nel pontificio seminario lombardo. L’avevo visto alla fine di luglio e poi mi ha chiamato due giorni prima di morire dicendo che si andava affievolendo. Ho affidato al Signore la sua anima con tanta gratitudine, soprattutto perché è stato un uomo che mi ha insegnato la speranza, un uomo che mi ha insegnato a guardare sempre oltre, un uomo che mi ha insegnato che la parola di Dio è il fondamento di una autentica fede capace di essere stabile e dinamica come la Parola. Stabile perché non cambia mai l’amore di Dio per noi, ma dinamica perché sa adattarsi ad ogni situazione umana non per lasciare l’umano come era prima, ma per trasformarlo in quella risurrezione su cui è fondata la fede cristiana. E ricordo che Martini ha fatto la tesi di laurea sulla risurrezione.   Al di là dell’emozione di quello che lei ha provato, in molti oggi ricordano le profezie di Martini e nel “Corriere della sera”, in un titolo grande, c’è scritto “Lanciò l’allarme dell’Islam”. Ero presente anche io nel 1990 sia all’omelia fatta alla città e alla regione durante i vespri del 6 dicembre sia all’omelia fatta il giorno dopo, il 7, giorno della festa di sant’Ambrogio. Il cardinale ha avuto davanti l’esperienza forte dell’Islam e l’ha proposta ai cittadini con una serie di considerazioni che sono estremamente attente, attuali, puntuali e anche direi preoccupate, non tanto per forme che possono in maniera riduzionistica far pensare a conflitti di civiltà quanto invece per una autentica comprensione reciproca di che cos’è la fede cristiana e di che cos’è che anima la civiltà e la fede islamica. Il cardinale ha avuto parole di grande attenzione per coloro che arrivavano nei nostri paesi. Il giorno dopo, però, ha aggiunto una parola in più: la parola della reciprocità. Non si tratta, cioè, solo di comprendersi, di conoscersi, ma bisogna porsi in rapporto di reciprocità. Noi cristiani europei abbiamo dovuto faticare molto per conquistare il concetto di reciprocità dopo le guerre della fine del ’500, le guerre dei cento anni, le guerre di religione. La reciprocità, però, è un principio di cultura importante che anche l’Islam, secondo Martini, deve incominciare ad adottare. Concedere, quindi, ai cristiani e alla cultura cristiana di esprimersi nei paesi dove anche i cristiani di antica data sono minorità e permettere loro di esprimere quello che i cittadini islamici, arrivando nei nostri paesi, chiedono come cittadinanza, come accoglienza, come criterio su cui fondare la loro nuova cittadinanza in Italia e in Europa, insegnando anche ai loro figli a convivere in maniera feconda nel mondo cristiano, un mondo nel quale loro si sentono minoranza. Eccellenza, il cardinale Martini le ha mai confidato se soffriva per le accuse, allinterno della Chiesa, di essere troppo progressista negli anni ’90? Credo che il dono che lo Spirito Santo ha fatto a p. Carlo Maria sia stato di vivere anche nella solitudine più profonda. E’ una solitudine direi crocifissa per amore. Come Gesù muore in croce per amore, così p. Carlo Maria in certi momenti di responsabilità grande si sentiva solo e penso che fosse anche, lo dico in maniera impropria, quella partecipazione alla croce o quello scotto che il profeta paga in prima persona per essere un profeta autentico. Chi non è profeta fa pagare agli altri con la novità o le parole che dice. Il profeta sappiamo che è colui che parla nel nome di Dio, al posto di Dio e dice il parere di Dio sul tempo di oggi. Quindi anche lui ne porta le conseguenze come i grandi profeti dell’Antico Testamento e i santi profeti nella storia della Chiesa. Un uomo da imitare? Sì, oltre che da imitare un uomo da mettersi davanti. A volte noi mettiamo da parte i modelli, li consumiamo, magari pensiamo di diventare come loro e allora di non averne più bisogno. Ritengo, invece, che il modello cristianamente inteso sia un modello che mi dice sempre di andare oltre, di superare il limite, di guardare oltre la siepe. Penso al messaggio leopardiano dell “oltre la siepe”. Chi pensa che il mondo sia finito entro la siepe evidentemente ha una visione che non è quella del mondo. Ora, un uomo di cultura, non solo biblica, come Martini, un cristiano autentico, un sacerdote, per di più formato secondo l’antica tradizione della compagnia di Gesù, è un uomo che ha sempre guardato oltre. Quindi ha cercato di tenere sempre, per forza dello Spirito Santo, gli occhi mai cisposi come quelli di Mosè, che, pur non entrando nella Terra Santa perché anche lui ha mancato di fede come il popolo, è stato condotto da Dio sul monte Nebo. E, come dice la descrizione della morte di Mosè nel libro dei numeri, l’occhio di Mosè, che pure aveva 120 anni, era nitido perché poteva, nella profondità della distanza, osservare quella terra che Dio ha dato successivamente al popolo. E Mosè vide da lontano la terra promessa. Ecco chi è un profeta. Colui che, nonostante le stanchezze, le sue povertà e le sue stesse debolezze, di fatto mette tutto al servizio dello Spirito che sa trasformare anche le debolezze in pregio messo a servizio di questa capacità di vedere oltre, di veder lontano, di essere in questo davvero sale e luce della terra. E’ per questo che Martini ha scelto di vivere alcuni anni nella Terra Santa? Sì, la parte finale della sua vita. Il suo desiderio era anche quello di essere sepolto vicino al suo padre spirituale nella parte di cimitero che è in Gerusalemme, perché diceva che da lì si poteva vedere la risurrezione alla fine del mondo oppure essere pronti alla squillo delle trombe del giudizio universale a presentarsi di fronte al Signore che avrebbe giudicato il mondo proprio vicino a padre Mollà che è stato a lungo suo padre spirituale.  

Quattro anni fa non solo la Chiesa, ma l'Italia intera ha perso un grande uomo: Carlo Maria Martini, cardinale arcivescovo di Milano da molti definito il profeta del ’900.

Arcivescovo Francesco Giovanni Brugnaro chi ha conosciuto meglio di lei questo grande uomo del ’900?

Sì, è una conoscenza molto antica, dal 1972 fino alla sua morte. Ricordo con grande commozione il giorno prima e il giorno del suo passaggio quando ci aveva detto; “nel momento in cui la mia percezione del mondo esterno e di voi si perderà, accanto a me leggete la parola di Dio, pregate l’Ave Maria, soccorretemi”. Gli abbiamo tenuto la mano fino all’ultimo istante. In quel momento mi sono venuti in mente tantissimi momenti importanti. Per me il mio discernimento vocazionale per il sacerdozio. Nei riguardi di lui la discrezione con cui ha saputo introdurmi nel mondo clericale e nel mondo della Chiesa, le opportunità che mi ha offerto di conoscere tantissime persone e soprattutto la comunione che ho potuto vivere in Milano dopo l’ordinazione sacerdotale, quando sono tornato da Roma dopo aver studiato nel pontificio seminario lombardo. L’avevo visto alla fine di luglio e poi mi ha chiamato due giorni prima di morire dicendo che si andava affievolendo. Ho affidato al Signore la sua anima con tanta gratitudine, soprattutto perché è stato un uomo che mi ha insegnato la speranza, un uomo che mi ha insegnato a guardare sempre oltre, un uomo che mi ha insegnato che la parola di Dio è il fondamento di una autentica fede capace di essere stabile e dinamica come la Parola. Stabile perché non cambia mai l’amore di Dio per noi, ma dinamica perché sa adattarsi ad ogni situazione umana non per lasciare l’umano come era prima, ma per trasformarlo in quella risurrezione su cui è fondata la fede cristiana. E ricordo che Martini ha fatto la tesi di laurea sulla risurrezione.

 

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Al di là dell’emozione di quello che lei ha provato, in molti oggi ricordano le profezie di Martini e nel “Corriere della sera”, in un titolo grande, c’è scritto “Lanciò l’allarme dell’Islam”.

Ero presente anche io nel 1990 sia all’omelia fatta alla città e alla regione durante i vespri del 6 dicembre sia all’omelia fatta il giorno dopo, il 7, giorno della festa di sant’Ambrogio. Il cardinale ha avuto davanti l’esperienza forte dell’Islam e l’ha proposta ai cittadini con una serie di considerazioni che sono estremamente attente, attuali, puntuali e anche direi preoccupate, non tanto per forme che possono in maniera riduzionistica far pensare a conflitti di civiltà quanto invece per una autentica comprensione reciproca di che cos’è la fede cristiana e di che cos’è che anima la civiltà e la fede islamica. Il cardinale ha avuto parole di grande attenzione per coloro che arrivavano nei nostri paesi. Il giorno dopo, però, ha aggiunto una parola in più: la parola della reciprocità. Non si tratta, cioè, solo di comprendersi, di conoscersi, ma bisogna porsi in rapporto di reciprocità. Noi cristiani europei abbiamo dovuto faticare molto per conquistare il concetto di reciprocità dopo le guerre della fine del ’500, le guerre dei cento anni, le guerre di religione. La reciprocità, però, è un principio di cultura importante che anche l’Islam, secondo Martini, deve incominciare ad adottare. Concedere, quindi, ai cristiani e alla cultura cristiana di esprimersi nei paesi dove anche i cristiani di antica data sono minorità e permettere loro di esprimere quello che i cittadini islamici, arrivando nei nostri paesi, chiedono come cittadinanza, come accoglienza, come criterio su cui fondare la loro nuova cittadinanza in Italia e in Europa, insegnando anche ai loro figli a convivere in maniera feconda nel mondo cristiano, un mondo nel quale loro si sentono minoranza.

Eccellenza, il cardinale Martini le ha mai confidato se soffriva per le accuse, all'interno della Chiesa, di essere troppo progressista negli anni ’90?

Credo che il dono che lo Spirito Santo ha fatto a p. Carlo Maria sia stato di vivere anche nella solitudine più profonda. E’ una solitudine direi crocifissa per amore. Come Gesù muore in croce per amore, così p. Carlo Maria in certi momenti di responsabilità grande si sentiva solo e penso che fosse anche, lo dico in maniera impropria, quella partecipazione alla croce o quello scotto che il profeta paga in prima persona per essere un profeta autentico. Chi non è profeta fa pagare agli altri con la novità o le parole che dice. Il profeta sappiamo che è colui che parla nel nome di Dio, al posto di Dio e dice il parere di Dio sul tempo di oggi. Quindi anche lui ne porta le conseguenze come i grandi profeti dell’Antico Testamento e i santi profeti nella storia della Chiesa.

Un uomo da imitare?

Sì, oltre che da imitare un uomo da mettersi davanti. A volte noi mettiamo da parte i modelli, li consumiamo, magari pensiamo di diventare come loro e allora di non averne più bisogno. Ritengo, invece, che il modello cristianamente inteso sia un modello che mi dice sempre di andare oltre, di superare il limite, di guardare oltre la siepe. Penso al messaggio leopardiano dell' “oltre la siepe”. Chi pensa che il mondo sia finito entro la siepe evidentemente ha una visione che non è quella del mondo. Ora, un uomo di cultura, non solo biblica, come Martini, un cristiano autentico, un sacerdote, per di più formato secondo l’antica tradizione della compagnia di Gesù, è un uomo che ha sempre guardato oltre. Quindi ha cercato di tenere sempre, per forza dello Spirito Santo, gli occhi mai cisposi come quelli di Mosè, che, pur non entrando nella Terra Santa perché anche lui ha mancato di fede come il popolo, è stato condotto da Dio sul monte Nebo. E, come dice la descrizione della morte di Mosè nel libro dei numeri, l’occhio di Mosè, che pure aveva 120 anni, era nitido perché poteva, nella profondità della distanza, osservare quella terra che Dio ha dato successivamente al popolo. E Mosè vide da lontano la terra promessa. Ecco chi è un profeta. Colui che, nonostante le stanchezze, le sue povertà e le sue stesse debolezze, di fatto mette tutto al servizio dello Spirito che sa trasformare anche le debolezze in pregio messo a servizio di questa capacità di vedere oltre, di veder lontano, di essere in questo davvero sale e luce della terra.

E’ per questo che Martini ha scelto di vivere alcuni anni nella Terra Santa?

Sì, la parte finale della sua vita. Il suo desiderio era anche quello di essere sepolto vicino al suo padre spirituale nella parte di cimitero che è in Gerusalemme, perché diceva che da lì si poteva vedere la risurrezione alla fine del mondo oppure essere pronti alla squillo delle trombe del giudizio universale a presentarsi di fronte al Signore che avrebbe giudicato il mondo proprio vicino a padre Mollà che è stato a lungo suo padre spirituale.

 

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