Vaccini agli ordini professionali, tra priorità legittime e scelte politiche

Venerdì, 19 Marzo 2021 19:18 | Letto 1287 volte   Clicca per ascolare il testo Vaccini agli ordini professionali, tra priorità legittime e scelte politiche Una convenzione tra Regione e diversi ordini professionali marchigiani che possa, da un lato, accelerare la campagna vaccinale e, dall’altro, alleggerire sia a livello temporale, sia a livello di abbattimento dei costi la Regione da un onere che si sta dimostrando eccessivamente gravoso per le sue sovraccariche e sottodimensionate strutture sanitarie. È lo scenario che si sta delineando in questi giorni all’assessorato alla sanità delle Marche, ed è una decisione che necessariamente deve attivare delle riflessioni sotto diversi profili. Il modus operandi ipotizzato dall’amministrazione Acquaroli prevedrebbe, qualora l’afflusso delle dosi dovesse rivelarsi congruo o superiore alle aspettative, che gli ordini professionali si occupino, appoggiandosi a strutture private a loro discrezione, della somministrazione dei vaccini ai propri iscritti. Sostanzialmente si tratterebbe di delegare una fetta della campagna vaccinale al privato, con gli ordini professionali a fare da intermediario.  Il primo interrogativo che questa soluzione porta con sé è quello dell’eterna diatriba sull’effettiva efficacia del servizio sanitario pubblico. Come avrebbe potuto un apparato – costantemente e storicamente – intasato e sovraccarico, ottemperare alla mole di lavoro richiesta da una situazione emergenziale come quella causata dal Coronavirus? Come spesso accade la delega al privato è la strada più breve e più semplice. In linea teorica non ci sarebbero problemi: la privatizzazione risponde a logiche di ottimizzazione ed è capace di ridurre sprechi di tempo e denaro, ma la Regione è tenuta a esercitare una costante vigilanza per evitare il profilarsi di dinamiche che tendano a favoritismi di classe. Senza un adeguato controllo è semplice immaginare uno scenario in cui due persone non inserite tra le categorie a rischio, con l’unica discriminante dell’appartenenza o meno a un ordine professionale, possano ricevere in tempi diversi la somministrazione del vaccino, con logiche di classe non tollerabili in una società democratica. In seconda battuta, l’eventuale campagna vaccinale delegata innesca domande legate ai criteri di definizione delle categorie prioritarie: le linee del Ministero della Salute sul completamento della Fase I della vaccinazione – quella che prevedeva la somministrazione agli operatori sanitari e socio-sanitari pubblici e privati, al personale e agli ospiti delle strutture per anziani e gli stessi anziani ultra ottantenni –, e gli indirizzi per la Fase II – pazienti con comorbilità, disabilità, gruppi sociodemografici proni a patologie, Forze dell’Ordine e operatori penitenziari, ultrasessantenni, lavoratori nel settore dei servizi essenziali – non prevedono deroghe. Conseguentemente la delega al privato tramite gli ordini professionali dovrebbe sottintendere l’appartenenza di questi a una delle categorie a rischio. L’esercizio logico che segue è intuitivo: tutti gli aventi diritto alla vaccinazione, ovvero appartenenti alle categorie previste dal Ministero, sarebbero già vaccinati, resterebbero gli iscritti agli ordini non appartenenti alle fasce indicate. Per quale motivo un professionista iscritto a un ordine dovrebbe avere la precedenza su un pari età che non gode della stessa posizione lavorativa? Si dovrebbe giustificare la priorità. È quanto ha tentato di fare Massimo Miani, Presidente dell’Ordine Nazionale dei Commercialisti ed Esperti Contabili, seguito dal dottor Carlo Cantalamessa, Presidente dell’ ODCEC di Ascoli Piceno: entrambi hanno sostenuto come la professione che rappresentano sia di primaria importanza per il paese, e questo articolo non intendere mettere in discussione né la nobiltà né l’utilità di una professione su un’altra, ma soltanto sottolineare uno scenario che, volenti o nolenti, andrebbe a vantaggio di una categoria solo in ragione dell’esistenza di un forte organo che la rappresenti. In terza e ultima istanza va sottolineato il rischio dovuto a possibili scorciatoie non consentite. Ancora una volta è necessario che la Regione – è sua responsabilità – garantisca che nessun operatore della potenziale catena di deleghe trovi il modo di approfittare di una situazione emergenziale che tocca tutti e che rischia di rappresentare l’ennesimo capitolo farcito di favoritismi, classismo e discriminazione della nostra storia. Il dottor Tommaso Pietropaolo, Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Ascoli Piceno, ha parlato di “scelta politica” dell’amministrazione: ancora, è legittima e giusta la ricerca di ottimizzazione dei costi, ed è quello che si chiede a un buon amministratore anche in situazioni non drammatiche come questa. Ma l’ottimizzazione deve e dovrà sempre essere subordinata al rispetto del principio di uguaglianza su cui si fonda il nostro Stato. Eventuali discriminazioni positive in ragione dell’appartenenza a una determinata categoria professionale potrebbe sembrare prerogativa dei regimi settecenteschi, non del ventunesimo secolo.Lorenzo Cervigni
Una convenzione tra Regione e diversi ordini professionali marchigiani che possa, da un lato, accelerare la campagna vaccinale e, dall’altro, alleggerire sia a livello temporale, sia a livello di abbattimento dei costi la Regione da un onere che si sta dimostrando eccessivamente gravoso per le sue sovraccariche e sottodimensionate strutture sanitarie. È lo scenario che si sta delineando in questi giorni all’assessorato alla sanità delle Marche, ed è una decisione che necessariamente deve attivare delle riflessioni sotto diversi profili.

Il modus operandi ipotizzato dall’amministrazione Acquaroli prevedrebbe, qualora l’afflusso delle dosi dovesse rivelarsi congruo o superiore alle aspettative, che gli ordini professionali si occupino, appoggiandosi a strutture private a loro discrezione, della somministrazione dei vaccini ai propri iscritti. Sostanzialmente si tratterebbe di delegare una fetta della campagna vaccinale al privato, con gli ordini professionali a fare da intermediario. 

Il primo interrogativo che questa soluzione porta con sé è quello dell’eterna diatriba sull’effettiva efficacia del servizio sanitario pubblico. Come avrebbe potuto un apparato – costantemente e storicamente – intasato e sovraccarico, ottemperare alla mole di lavoro richiesta da una situazione emergenziale come quella causata dal Coronavirus? Come spesso accade la delega al privato è la strada più breve e più semplice. In linea teorica non ci sarebbero problemi: la privatizzazione risponde a logiche di ottimizzazione ed è capace di ridurre sprechi di tempo e denaro, ma la Regione è tenuta a esercitare una costante vigilanza per evitare il profilarsi di dinamiche che tendano a favoritismi di classe. Senza un adeguato controllo è semplice immaginare uno scenario in cui due persone non inserite tra le categorie a rischio, con l’unica discriminante dell’appartenenza o meno a un ordine professionale, possano ricevere in tempi diversi la somministrazione del vaccino, con logiche di classe non tollerabili in una società democratica.

In seconda battuta, l’eventuale campagna vaccinale delegata innesca domande legate ai criteri di definizione delle categorie prioritarie: le linee del Ministero della Salute sul completamento della Fase I della vaccinazione – quella che prevedeva la somministrazione agli operatori sanitari e socio-sanitari pubblici e privati, al personale e agli ospiti delle strutture per anziani e gli stessi anziani ultra ottantenni –, e gli indirizzi per la Fase II – pazienti con comorbilità, disabilità, gruppi sociodemografici proni a patologie, Forze dell’Ordine e operatori penitenziari, ultrasessantenni, lavoratori nel settore dei servizi essenziali – non prevedono deroghe. Conseguentemente la delega al privato tramite gli ordini professionali dovrebbe sottintendere l’appartenenza di questi a una delle categorie a rischio. L’esercizio logico che segue è intuitivo: tutti gli aventi diritto alla vaccinazione, ovvero appartenenti alle categorie previste dal Ministero, sarebbero già vaccinati, resterebbero gli iscritti agli ordini non appartenenti alle fasce indicate. Per quale motivo un professionista iscritto a un ordine dovrebbe avere la precedenza su un pari età che non gode della stessa posizione lavorativa? Si dovrebbe giustificare la priorità. È quanto ha tentato di fare Massimo Miani, Presidente dell’Ordine Nazionale dei Commercialisti ed Esperti Contabili, seguito dal dottor Carlo Cantalamessa, Presidente dell’ ODCEC di Ascoli Piceno: entrambi hanno sostenuto come la professione che rappresentano sia di primaria importanza per il paese, e questo articolo non intendere mettere in discussione né la nobiltà né l’utilità di una professione su un’altra, ma soltanto sottolineare uno scenario che, volenti o nolenti, andrebbe a vantaggio di una categoria solo in ragione dell’esistenza di un forte organo che la rappresenti.

In terza e ultima istanza va sottolineato il rischio dovuto a possibili scorciatoie non consentite. Ancora una volta è necessario che la Regione – è sua responsabilità – garantisca che nessun operatore della potenziale catena di deleghe trovi il modo di approfittare di una situazione emergenziale che tocca tutti e che rischia di rappresentare l’ennesimo capitolo farcito di favoritismi, classismo e discriminazione della nostra storia.

Il dottor Tommaso Pietropaolo, Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Ascoli Piceno, ha parlato di “scelta politica” dell’amministrazione: ancora, è legittima e giusta la ricerca di ottimizzazione dei costi, ed è quello che si chiede a un buon amministratore anche in situazioni non drammatiche come questa. Ma l’ottimizzazione deve e dovrà sempre essere subordinata al rispetto del principio di uguaglianza su cui si fonda il nostro Stato. Eventuali discriminazioni positive in ragione dell’appartenenza a una determinata categoria professionale potrebbe sembrare prerogativa dei regimi settecenteschi, non del ventunesimo secolo.

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